La pandemia da Coronavirus e la crisi dell’economia mondiale, secondo molti paesi occidentali, capitanati dagli USA, hanno un responsabile: la Cina.
Al più grande paese comunista vengono attribuite precise responsabilità nella diffusione della pandemia a livello globale, ma non è detto che sia solo: anche altri paesi potrebbero avere corresponsabilità di quanto è accaduto.
L’ipotesi più accreditata dalla Comunità scientifica internazionale, nonostante le accuse sempre più insistenti di un esperimento sfuggito in laboratorio, è che il Coronavirus sia di origine naturale e che il contagio sia partito da un wet market di Wuhan, megalopoli della provincia di Hubei. Un mercato con animali vivi dove impera una commistione tra uomini e animali con livelli igienico-sanitari tali da poter innescare lo spill-over, il passaggio del Virus da specie animale a esseri umani. A fugare i dubbi non aiuta il fatto che il primo focolaio di Coronavirus sia scaturito proprio a Wuhan dove ha sede il Laboratorio che conduce studi scientifici sulla tipologia dei virus epidemici. A leggerla come un gioco non cooperativo nella gara tra Uomo e Natura, la spunta quest’ultima che asseconda il suo ciclo evolutivo naturale. In questo caso, la collaborazione degli uomini al servizio della Scienza è stata anticipata e beffata dal misterioso gioco evolutivo della Natura.
La tolleranza verso questo genere di mercati alimentari, molto diffusi in tutto il gigante asiatico, è una caratteristica di un modello culturale e sociale in auge in quel paese. Un modello che è retto da un governo che manifesta un atteggiamento apparentemente contraddittorio ma funzionale al mantenimento del controllo sociale: alto livello di vigilanza e censura di comportamenti dei suoi cittadini, opposti al permissivismo di certi atteggiamenti figli dell’antica tradizione agricola della vasta campagna cinese.
Pur tenendo conto che il Coronavirus è nuovo e ancora poco conosciuto dalla Comunità Scientifica internazionale, il sistema autocratico cinese ha evidenziato molti limiti nell’affrontare l’emergenza, dapprima tacendo e mettendo a tacere qualsiasi fonte di informazione sull’insorgenza del Virus, poi attuando misure repressive piuttosto rigide per il suo contenimento. La sottovalutazione iniziale del pericolo epidemico è andata di pari passo con la censura del governo sui social nazionali di ogni informazione sul Coronavirus già a dicembre 2019. Il motivo del silenzio resterebbe oscuro se non si ipotizzasse la volontà del paese asiatico di mantenere la posizione acquisita nello scacchiere politico ed economico mondiale, cosa che l’allarme Coronavirus avrebbe potuto incrinare.
Il Lockdown risponde pienamente alle esigenze di contenimento del contagio per scopi sanitari ma è stato attuato tardivamente. Se da una parte è stato una risposta efficace alla diffusione pandemica, dall’altra ha messo in luce i limiti di una organizzazione statuale che, pretendendo di pianificare la vita sociale ed economica di un miliardo e mezzo di abitanti, ha mostrato molte negligenze e incapacità nel prevenire o quantomeno controllare l’insorgenza di un problema sanitario di tale portata.
Anche il comportamento dell’OMS non è esente da responsabilità perché ha sottostimato la morbilità del Coronavirus, informando tardivamente la comunità mondiale sulla realtà dei fatti. Questa posizione “tardiva”, criticata da più parti, è curiosamente in linea con il comportamento della Cina che, nonostante non rientri tra i primi dieci finanziatori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è il principale partner commerciale dell’Etiopia, paese del direttore generale dell’OMS Tedros Ghebreyesus.
L’Europa ha avuto gravi carenze di coordinamento delle misure che invece avrebbero potuto contribuire al contenimento della diffusione del virus nel vecchio continente. Molti stati europei infatti sono andati in ordine sparso e, alla stessa stregua della Cina, hanno avuto precise responsabilità nel sottovalutare la gravità e aggressività del virus, sopravalutando l’effetto protettivo della distanza geografica e temporale con il paese asiatico, non riuscendo a premunirsi imparando dalla esperienza cinese. Il caso dell’Italia ha una ulteriore aggravante: il governo ha attuato una misura più rigida del Lockdown rispetto ad altri paesi europei, per impedire il collasso del sistema sanitario nazionale, non preparato a una epidemia tanto virulenta quanto epocale. Nel Belpaese la spesa sanitaria è rimasta costante dal 2002 a oggi se non addirittura cresciuta, ma i livelli quantitativo e qualitativo dell’offerta sanitaria sono diminuiti (vedi basso rapporto tra posti letto di terapia intensiva e abitanti), mostrando con l’insorgenza dell’epidemia tutte le debolezze del proprio sistema socio-sanitario.
Ma gli effetti più devastanti del Lockdown si stanno manifestando e si avranno in ambito economico e sociale, con esiti nefasti per l’economia globale, tarpando le ali alla crescita economica degli anni futuri. L’impatto del Coronavirus ha acuito i limiti del modello di globalizzazione, evidenziando l’esigenza di un’analisi seria sul tipo di modello socio-economico auspicabile per il post pandemia. La Cina in questo ambito gioca un ruolo da protagonista: ha sposato l’economia di mercato, cercando di massimizzare tutti i benefici possibili della globalizzazione, attuando al suo interno una politica di bassissimi salari e di scarsa protezione dei lavoratori rispetto agli standard occidentali (del resto non ha il modello europeo di welfare state). Fattori che pongono le produzioni cinesi in una posizione di vantaggio rispetto alle concorrenti, creando molte difficoltà agli altri paesi manifatturieri più sviluppati, che sottovalutando la velocità di sviluppo economico cinese, hanno reagito delocalizzando le proprie produzioni in altri stati con basso costo del lavoro, compresa la stessa Cina. L’affermarsi della globalizzazione ha creato disparità e un regime di dipendenza di tanti paesi occidentali dalle produzioni manifatturiere cinesi e di altri paesi in via di sviluppo, evidenti in questo periodo di emergenza nella carenza europea, e in particolare italiana, dei dispositivi di protezione individuale come le mascherine.
La crescente influenza della Cina nei mercati mondiali e in ambito geopolitico, che rischia di scalfire il ruolo di superpotenza degli USA, motiva la crescente ostilità del presidente Trump che cerca un capro espiatorio per l’arresto inaspettato dell’economia americana. Ma in un contesto globalizzato gli USA sono legati a doppio filo con la Cina, anche perché questo paese possiede 1100 miliardi di dollari di debito pubblico americano. Il rapporto USA-Cina è incardinato su un delicato e difficile equilibrio che, nonostante le accuse pubbliche di Trump, non può essere ulteriormente incrinato perché di vitale importanza per le economie di entrambi i paesi. Le proposte avanzate da alcuni senatori repubblicani di cancellare il rimborso dei titoli in scadenza e addirittura, di sganciare legalmente l’economia americana da quella cinese, sono delle boutade in quanto strade ardue da percorrere. L’imposizione alle multinazionali statunitensi attive in Cina di rientrare in patria porrebbe queste in grave difficoltà e imbarazzo, riducendo i grandi profitti derivanti dal bassissimo costo del lavoro cinese, parzialmente compensato dai dazi doganali.
Nel contesto della globalizzazione il viluppo di intrecci, relazioni e vantaggi commerciali dei singoli stati, dove ogni paese gioca la sua partita, ostacola ancora la cooperazione necessaria a livello della sanità mondiale. In ambito sanitario manca, e non è voluta, una strategia comune per risolvere il pericolo pandemico: tutti i paesi hanno affrontato individualmente la crisi Coronavirus, e ora competono alla scoperta del vaccino, ma ognuno per proprio conto vuole arrivare per primo e imporre quindi il suo brevetto e le proprie royalty. La Francia però, con il suo presidente Macron, ha ribadito che il vaccino è un bene pubblico mondiale, dopo le notizie che la casa farmaceutica francese Sanofi avrebbe garantito un canale privilegiato agli Stati Uniti. Intanto la Cina ha annunciato che aumenterà in modo consistente il suo finanziamento all’OMS e, in una sorta di azione risarcitoria e auto-assolutoria, vorrebbe anche distribuire il vaccino gratuitamente a tutto il mondo.
La crisi indotta dal Coronavirus ha svelato il viluppo di intrecci commerciali bi e trilaterali, e gli interessi nazionalistici degli stati che minano le basi della cooperazione mondiale. Le responsabilità della diffusione del virus non sono solo della Cina ma anche degli altri paesi che hanno sottovalutato il pericolo, così come dell’OMS che ha tardato a dichiarare lo stato di pandemia. Ogni Stato ha adottato differenti misure socio-economiche per affrontare la crisi epidemica, perché è mancata una regia cooperativa internazionale. La pandemia causerà ancora tanti danni alla società mondiale, per questo vanno rimesse in discussione le cause e individuate le opportunità che la crisi può offrire a tutta l’Umanità sia dal punto di vista economico che sociale, così come recitava Einstein: “…la crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi…”. Imparare dalla storia e dagli errori commessi, correggere e armonizzare le storture del mercato a livello globale, superare atteggiamenti nazionalistici, condividere norme nel rispetto delle specificità produttive di ogni singolo paese per un mercato pienamente efficiente sarebbero tutte condizioni auspicabili.