“Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti” (Mario Draghi, Camera dei Deputati, presentazione PNRR, 26 aprile 2021).

Cosa significa coltivare il gusto del futuro? Per noi significa non considerare il futuro come un semplice e ineluttabile dato temporale da riempire con comportamenti, individuali e sociali, sempre uguali, ripetitivi, stereotipati. Coltivare il gusto del futuro significa non guardare al passato come a qualcosa da replicare in modo inerziale, riproponendo gli stessi e troppi vizi e tenendo a freno le rare e preziose virtù, viste con sospetto per la loro intrinseca capacità di cambiare lo stato delle cose. Coltivare il gusto del futuro significa, cioè, modificare i comportamenti atrofizzatisi nella apparente comodità degli antichi vizi e dare sfogo ai comportamenti virtuosi, soffocati e imbrigliati per paura che possano alterare il quieto scorrere del tempo. Coltivare il gusto del futuro significa non trascinarsi, più o meno stancamente, in un tempo immutabile, ma proiettarsi con curiosità ed entusiasmo verso un tempo che si può cambiare. Dobbiamo eliminare le incrostazioni che si sono stratificate e oliare i motori per riprendere la strada del nostro futuro. Ci vogliono onestà e intelligenza, ma forse oggi sarebbe sufficiente almeno la consapevolezza che non abbiamo più la possibilità di scegliere, perché quel passato nel quale abbiamo finora realizzato le nostre vite e che qualcuno (o anche troppi) avrebbe voluto riproporre all’infinito semplicemente non c’è più, è stato distrutto e non può essere ricostruito.

Costruire il futuro

La sfida che dobbiamo affrontare è ardua, per il semplice fatto che mancano punti di riferimento da cui partire. L’evento straordinario che ci ha travolto (la pandemia) ha distrutto tutto ciò che era debole, precario, pericolante. Il problema è che, nel nostro contesto sociale, troppo era già debole, precario, pericolante. L’incapacità di concepire il futuro come una opportunità e una esigenza di cambiamento (e non come un mero dato temporale), ci ha condotto a vivere in una casa in cui le manutenzioni straordinarie sono mancate e le manutenzioni ordinarie sono state limitate a interventi di facciata, sostanzialmente inutili e inevitabilmente sempre più numerosi e frequenti. È il circolo vizioso della spesa cattiva che produce debito cattivo. Ne sono un esempio assistenzialismo diffuso, rendite di posizione, mantenimento di attività che forse potevano avere un senso nel lento scorrere del passato, ma non nel tempo scandito dal cambiamento (è facile che il pensiero corra alle vecchie e mai risolte crisi industriali e alle nuove crisi che continuano e continueranno ad aggiungersi al già lungo elenco). Il debito cattivo è una incrostazione che si è formata come accumulazione delle scorie prodotte dai comportamenti realizzati nel passato. Eliminare questa incrostazione richiederà tempo (speriamo di averlo) e fatica (speriamo che ci sia la voglia di rimboccarsi le maniche). Però queste non sono le uniche scorie prodotte dai comportamenti passati: ci sono anche quelle, non meno tossiche, che hanno indebolito il nostro sistema sociale, erodendo il pilastro della fiducia e mortificando le spinte (gli atteggiamenti positivi) verso la conoscenza, la ricerca, l’innovazione. Sicuramente non possiamo continuare ad alimentare la stratificazione di queste incrostazioni, pena l’impossibilità di riavviare il motore, ora ingrippato, della crescita e dello sviluppo.

Il nostro contesto sociale ha bisogno di riforme che investano tutti i suoi settori, nessuno escluso, perché tutti i settori hanno dimostrato la loro inadeguatezza e la loro fatiscenza. Questo significa che dobbiamo elaborare nuovi modelli di comportamento, individuali e sociali, che alimentino quella che nel linguaggio economico viene chiamata “produttività totale del sistema”. Quest’ultima riguarda non solo il mercato, ma anche i beni pubblici, le istituzioni e lo stesso sistema democratico.

Il nostro contesto sociale nazionale va senz’altro riformato, ma non può essere considerato separatamente da un contesto più ampio del quale facciamo parte, in primis il contesto europeo. Il dibattito sulle regole di bilancio e sul debito dovrebbe percorrere questa strada, ma occorre la consapevolezza che queste regole sono solo la punta dell’iceberg. Il fatto che la strada del rafforzamento del contesto europeo venga percorsa o meno dipenderà dalle fondamenta che si vorranno gettare, dato che la costruzione attuale ha purtroppo mostrato in questo frangente tutta la sua debolezza. Non si può inoltre prescindere dal contesto ancora più ampio, quello che include tutti i variegati contesti sociali che condividono questo nostro pianeta, ma che ancora faticano a darsi regole di convivenza. Per questo non si possono trascurare i dibattiti sul multilateralismo, sulla globalizzazione, sui flussi migratori (e il multiculturalismo), sull’ambiente (solo per citare alcuni cardini di questa faticosa convivenza).

Nel mezzo del guado (fra passato e futuro)

Il presente che noi viviamo è frutto del nostro passato, ma oggi dobbiamo chiederci cosa di questo passato possiamo salvare e cosa dobbiamo, invece, definitivamente lasciarci alle spalle perché ormai distrutto. Sicuramente le macerie di questo passato distrutto devono essere rimosse per lasciar spazio alla costruzione di una nuova città, più bella, accogliente e vivibile. Il progetto deve essere chiaro e, perché no, anche un po’ ambizioso. Non possiamo più continuare a costruire “piramidi sociali”, la cui base deve essere costantemente ampliata per sostenerne e sollevarne il vertice; dobbiamo, al contrario, costruire “grattacieli sociali”, ma per per far questo occorre conoscenza scientifica che alimenti ricerca e innovazione anche (e soprattutto) in campo sociale. E sarebbe fondamentale far sì che tutta la collettività possa partecipare a questa costruzione.

A questo punto non possiamo non considerare la resilienza, alla quale il PNRR fa esplicito riferimento. Questa resilienza si fonda sul sistema di valori che caratterizza la nostra collettività e sulle eccellenze che il nostro sistema sociale è stato, comunque, in grado di esprimere. Una resilienza che deve essere attivata, sostenuta, guidata affinché il progetto di ricostruzione possa essere attuato, altrimenti resterà solamente un progetto. Non è certo il momento della conflittualità, dei contrasti e delle lotte per il mantenimento delle rendite di posizione (incrostazioni del passato da rimuovere).

Non si può costruire se non si mettono in discussione gli interessi costituiti e se non si combattono stupidità e corruzione. Si deve costruire partendo dal merito, dalla conoscenza e dalle competenze; anche se non sarà semplice trovarli, visto quanto è stato fatto finora per occultarli e ridurli all’irrilevanza. E, ovviamente, si deve costruire ripartendo dalla voglia di un cambiamento profondo: il gusto del futuro. Sono componenti che non si trovano spontaneamente in natura. Le conoscenze e le competenze si acquisiscono e si forgiano con l’impegno e la dedizione, e a loro volta alimentano il gusto del futuro, che delle stesse si nutre. Attenzione, quindi, a non cedere alla facile semplificazione del fattore anagrafico: non solo i giovani devono essere posti al centro del progetto di ricostruzione, ma tutti i portatori sani di conoscenze e competenze (lasciando fuori, però, sterili discorsi elitari).

Un po’ di debito volto a valorizzare una intera comunità che deve lavorare per costruire, sulle fondamenta delle riforme, una città del futuro che sia progettata per ridurre a zero le scorie della spesa cattiva sarebbe sicuramente debito buono, anzi il debito migliore che una società possa sostenere. Non è una impresa impossibile; si tratterebbe di fare un ultimo sforzo per far fronte giusto alla spesa necessaria per sostenere una comunità operosa e coesa che deve raggiungere l’obiettivo prefissato, né più né meno. Il resto lo potranno fare un buon progetto unito alla coerenza e alla capacità di leadership di chi avrà la grande responsabilità di accompagnare questa comunità che deve attraversare il guado del presente. Una leadership che deve incarnare l’anticipazione del futuro, non le vestigia del passato.

P.S. Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare nel nostro percorso di vita il Professore Giulio Bolacchi, che ha incarnato l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro. Un gusto del futuro basato sul valore della conoscenza scientifica e sulla scienza sociale, che il Professore ha sempre cercato di trasmettere a tutti i suoi allievi.