“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!”*   

L’Italia al tempo del Covid mette in scena il solito copione rendendo evidente una storica difficoltà ad affrontare, ed eventualmente rimuovere, i limiti culturali che impediscono un maggiore sviluppo sociale, politico, economico. Quindi li riconferma tutti.

Elencare ed analizzare la numerosa lista di indicatori secondo i quali siamo stabilmente agli ultimi posti del mondo sviluppato, osservare la progressiva marginalizzazione del nostro paese a livello internazionale, non è sufficiente a stimolare una risposta dell’intera società. Risposta che ognuno nel proprio ruolo e secondo le proprie responsabilità deve porre in essere.

Se la spinta alla risposta necessaria per il superamento dei limiti del sistema Italia si debba originare dal basso (dal popolo) o dall’alto (dalla classe dirigente) è questione aperta e forse fuorviante.

Dal basso si assiste:
da alcuni ad una reazione emotiva di paura quasi incontrollata che talvolta sfocia in aggressività;
da alcuni ad un atteggiamento genericamente speranzoso scollegato da qualsiasi richiamo all’azione;
da alcuni ad una perdurante sottovalutazione della gravità della situazione e una mal sopportazione delle misure emanate.

Dall’alto si assiste:
a contrapposizioni spesso sterili e a polemiche su fatti contingenti, prive di una proposta alternativa e costruttiva;
a reciproche accuse di responsabilità tra le diverse parti coinvolte, che producono aumento della conflittualità, nonostante i ripetuti appelli all’unità;
ad una produzione normativa spesso farraginosa e talvolta contraddittoria che contribuisce ad aumentare la confusione organizzativa e l’inefficienza del sistema.

Ci sono anche comportamenti responsabili ad entrambi i livelli ma sembra che il clima generale, la maggior parte degli atteggiamenti e dei comportamenti, ricada nelle modalità descritte.

Il dibattito pubblico rispecchia il modo di essere della collettività sia nella scelta dei temi maggiormente trattati, sia nelle modalità in cui vengono discussi e nella scelta del linguaggio usato. E’ un dibattito che si caratterizza per una predominanza di problematiche particolaristiche, per la presenza massiccia di opinioni espresse a tutti i livelli (da politici, giornalisti, esperti, pubblico). Slogan, frasi ad effetto, prese di posizione assolute e non dimostrate, espressioni emotive, affermazioni parziali abbondano. Rare invece le argomentazioni fondate e articolate.

I temi di largo respiro, strutturali e strategici, sono affrontati prevalentemente in una logica di contrapposizione ideologica anziché in una logica di analisi, comprensione e ricerca di soluzioni praticabili perché adeguate alle problematiche contingenti e sostenibili nel lungo periodo.

Il sistema politico sembra non essere in grado di riformarsi da sé. La richiesta di cambiamento dal basso alla classe dirigente appare dettata da una reazione emotiva di generica insoddisfazione e sfiducia anziché dalla consapevolezza dei limiti strutturali del paese e dei suoi meccanismi di funzionamento. Il dibattito non si concentra su temi strutturali e fondamentali di interesse comune ma su fatti del momento e spesso relativi ad interessi di parte.

Per queste ragioni il paese continua ad accumulare ritardi e prosegue nel suo progressivo declino.

Resta la strada di un cambiamento culturale, la più difficile da realizzare ma anche la più incisiva e duratura. Considerato che la crisi sanitaria del Covid ha portato alla ribalta il ruolo della scienza, potremmo guardare proprio alla scienza non solo come ad un settore avulso dalla quotidianità e per pochi specialisti, ma come un fattore culturale condiviso che modifichi profondamente il modo di approcciarsi alla comprensione dei fenomeni e migliori la capacità di affrontare e risolvere le problematiche del nostro sistema paese.

La diffusione e condivisione di un modello culturale più sensibile al fattore scientifico faciliterebbe:
la rigorosità del linguaggio e la forza delle argomentazioni evitando suggestioni e scelte emotive e non razionali;
la consapevolezza che i problemi si risolvono studiandoli nella loro complessità, isolandone gli elementi fondamentali e agendo su di essi evitando che siano perseguite proposte semplicistiche che non li risolvono o peggio affidandosi al fatalismo;
il confronto costante con la realtà e la continua verifica dei risultati delle azioni attuate evitando il ricorso esclusivo ad una visione ideologica avulsa dalla realtà dei fatti e fonte di conflittualità e contrapposizioni non costruttive;
la disponibilità a rivedere le proprie posizioni e i propri comportamenti a fronte di nuove conoscenze evitando la riproposizione acritica delle vecchie soluzioni;
la competenza come fondamento dell’acquisizione dei ruoli che si ricoprono evitando che ognuno nel proprio ruolo possa dare risposte inadeguate rispetto all’esigenza di contrastare il declino del sistema paese.   

Non si tratta di sostituire la scienza alla politica, ma di riconoscere alla conoscenza, ed in particolare alla conoscenza scientifica, un valore sociale prioritario che tutti dovremmo sempre tener presente nel nostro agire quotidiano.

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*Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, canto VI, vv. 76-78.