“La paternità è un’invenzione sociale umana e il patriarcato, il governo del padre, è una condizione fondamentale della storia e delle nostre idee di potere, di autorità e della stessa civiltà.[1] E se il sistema patriarcale è una costruzione storica, e non “naturale”, allora potrebbe essere modificato nel processo storico…

Nel neolitico sono avvenuti importanti cambiamenti che hanno modificato la vita e l’organizzazione dei gruppi sociali. I paleoantropologi sostengono che sia questo il periodo in cui gli umani intraprendono le prime attività agricole e di domesticazione, riducono le attività nomadiche e, forse, realizzano il collegamento fra attività sessuale e riproduzione (paternità fisiologica). Sembra sia questo il contesto nel quale emergono le prime forme di controllo della sessualità e della procreatività della donna e, con esse, l’organizzazione patriarcale che si riflette nei sistemi di proprietà, nelle strutture gerarchiche dei gruppi sociali, nel simbolismo religioso. Nelle civiltà primordiali emerge la figura dell’Uomo-Padre-Re-Dio, che viene trasmessa e consolidata nella storia dell’umanità.

Incertezza della paternità. A cosa può essere imputato il controllo della sessualità e della procreatività della donna, che ha dato forma alle diverse manifestazioni di cultura patriarcale? Alcuni studiosi hanno attribuito questo fenomeno al problema dell’incertezza della paternità. Una discussa ipotesi al confine fra prospettiva storica e prospettiva evoluzionistica, che è stata considerata anche con riferimento al ruolo sociale delle religioni: “I testi sacri di cinque religioni mondiali (buddismo, cristianesimo, induismo, islam ed ebraismo) utilizzano sistemi di credenze simili per porre limiti al comportamento sessuale. Noi avanziamo l’ipotesi che questa somiglianza rappresenti una soluzione culturale condivisa a un problema biologico: vale a dire l’incertezza maschile sulla paternità della prole. Inoltre, proponiamo l’ipotesi che le pratiche religiose che regolano in modo più stringente la sessualità femminile dovrebbero essere più efficaci nel promuovere la certezza della paternità”.[2]

Una interessante analisi del patriarcato nella cultura occidentale è proposta da Gerda Lerner, una pioniera nel campo del “women’s history”. Lerner articola la sua ricostruzione del percorso storico del sistema patriarcale nei seguenti punti, sintetizzati nell’introduzione del suo testo ormai classico The creation of patriarchy (1986, pp. 8-10)[3]: (a) la mercificazione della sessualità e della capacità riproduttiva della donna sta a fondamento dell’istituzione della proprietà privata; (b) la forma degli stati arcaici era patriarcale e quindi vi era interesse a mantenere la famiglia patriarcale; (c) l’istituzionalizzazione della schiavitù trova le sue origini nella schiavizzazione delle donne appartenenti ai gruppi conquistati; (d, e) la subordinazione della donna viene istituzionalizzata nei codici legali in varie forme, in relazione al legame sessuale con l’uomo, in particolare la collocazione sociale della donna (in relazione a quella del capofamiglia, dal quale dipende economicamente) e la distinzione fra donne “rispettabili” e donne “non rispettabili” (in relazione al rapporto stabile con un solo uomo o meno); (f, g, h, i) il ruolo attivo e socialmente rispettato della donna nel mediare il rapporto fra umani e divinità, in virtù del suo potere di dare la vita, viene detronizzato quando la funzione di controllo della fertilità viene simboleggiata attraverso l’accoppiamento del dio maschio o Dio-Re con la Dea o la sua sacerdotessa; (j) la posizione subordinata della donna, e quindi la svalutazione del suo ruolo rispetto al divino, è una delle metafore a fondamento della civiltà occidentale; (j) la filosofia aristotelica formula un’altra metafora fondante della civiltà occidentale, cioè che le donne siano esseri umani incompleti e danneggiati di un ordine completamente diverso da quello degli uomini.

Nella sua trattazione, Lerner tenta di ricostruire storicamente il modello dei rapporti sociali patriarcali nella cultura occidentale attraverso l’individuazione di ulteriori metafore, che possono essere ricondotte alla visione bidimensionale della realtà sociale, ovvero la divisione in due sfere (casa e lavoro, privato e pubblico). A questo riguardo, Sylvia Walby (Theorizing patriarchy, 1989) individua due principali forme di patriarcato nella cultura occidentale: una forma di patriarcato privato, che prevede l’esclusione della donna dalla vita sociale e l’appropriazione dei suoi servizi da parte del patriarca all’interno delle mura domestiche; una forma di patriarcato pubblico, che non prevede l’esclusione della donna da alcun campo sociale ma la colloca sempre in ruoli subordinati.

Divari di genere. Procreazione e genitorialità rappresentano l’obiettivo più importante della vita per la gran parte degli individui che popolano il nostro mondo, comprese le società occidentali. Allora non meravigliamoci se tutt’ora ritroviamo tracce, più o meno evidenti, della primordiale incertezza della paternità. Le manifestazioni culturali del patriarcato, tuttavia, differiscono notevolmente a seconda dei diversi contesti socio-culturali e nella cultura occidentale sono oramai attenuate, perché ad esse si contrappongono le conquiste sociali che le donne hanno ottenuto con sforzi e sacrifici.

Qualcosa sta infatti cambiando dal dopoguerra ad oggi. Ci sono stati evidenti progressi nel riconoscimento di diritti fondamentali nella società e nel lavoro, grazie alle battaglie femministe e ad associazioni per la promozione dei diritti, della cultura, delle politiche, dei saperi e delle esperienze prodotte dalle donne. Fondamentali sono stati l’accesso al sistema educativo e il diritto di voto (quindi, la rappresentanza politica), che sino a pochi decenni fa erano pressoché preclusi alle donne, così come l’accesso a molti ruoli lavorativi. Un’altra importante tappa è la legge sulla tutela della maternità e sull’aborto del 1978, che è stata pioniera di successivi miglioramenti del ruolo femminile nella società.

Possiamo però dire che non permangano residui del sistema patriarcale? Possiamo affermare che gli stereotipi di genere siano solo folklore? O dobbiamo piuttosto riconoscere che sono sintomi di un problema che ancora non abbiamo definitivamente risolto? Un certo atteggiamento maschilista è ancora diffuso nella nostra società. Questo sentimento, falsamente sottaciuto, che la donna sia un “po’ meno del maschio” è purtroppo ancora radicato tra gli uomini, che anche involontariamente nella quotidianità fraintendono la sostanziale differenza biologica tra uomo e donna con un’equivoca e presunta superiorità del maschio.

Se guardiamo alla sfera lavorativa, non possiamo ignorare che esiste tuttora nelle nostre società occidentali un problema di divario salariale e di percorsi di carriera. La presenza di donne al vertice di alcune istituzioni è ancora una eccezione da celebrare e  non tutti i “tetti di cristallo” sono stati infranti.

Secondo il recente rapporto dello Svimez[4] una donna su quattro in Italia non lavora, anche se vorrebbe e potrebbe farlo, e quando lavora è spesso inserita in contratti part-time. Nel Mezzogiorno d’Italia la quota sale al 42%, ovvero quasi una su due non lavora, mentre solo il 35% delle madri con figli in età prescolare lavora rispetto al 64% del Centro-Nord. La carenza di servizi al Sud penalizza il lavoro delle donne con figli e contribuisce all’inverno demografico, i tempi di cura della famiglia condizionano le opportunità di lavoro delle madri. Ulteriore conferma è il dato relativo al tasso di occupazione rispettivamente per padri e madri meridionali, squilibrio di genere più marcato che al Nord: 74,4 e 36,7% contro 88 e 65,4% nel Centro-Nord. In particolare, il divario italiano nel tasso di partecipazione femminile rispetto alla media UE è di circa 13 punti percentuali, media dalla quale il Centro-Nord è distante circa 5 punti, il Mezzogiorno ben 28 punti. Dati che indicano che il trade-off tra la scelta del ruolo materno (e cura del focolare domestico) e la carriera lavorativa non è stato ancora del tutto eliminato. La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un freno per le prospettive di crescita dell’economia italiana, soprattutto alla luce di tendenze demografiche negative, che già si stanno riflettendo in un calo della popolazione in età da lavoro. Una questione italiana in Europa che è determinata soprattutto da questo divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord. L’Italia è ancora debole per opportunità di emancipazione e autonomia lavorativa delle donne; gli altri paesi europei infatti, eccetto la Spagna e la Grecia, evidenziano una maggiore vivacità lavorativa della donna, più partecipazione attiva alla ricerca di lavoro, dunque registrano maggiori tutele per le madri lavoratrici e per le donne in maternità.

La storia si è fermata? Esistono piccole comunità chiuse, per quanto riguarda l’Italia forse più diffuse nel Sud, in cui il tempo sembra essersi fermato all’Ottocento, dove le donne sembrano accettare un ruolo di subalternità rispetto ai maschi. Oscurate, talvolta vittime di una radicata cultura patriarcale che lascia loro poche possibilità di emancipazione dalla vita domestica in cui spesso sono relegate.

C’è però un altro fenomeno che travalica i confini di queste piccole comunità e che può riportare le lancette del tempo indietro, anche nelle metropoli più avanzate. È un fenomeno che investe la sfera privata del rapporto di coppia e che alcuni studiosi hanno ricondotto a un concetto ideologico di onore muliebre e controllo del partner. “Antropologi e psicologi hanno documentato che i requisiti per una buona reputazione differiscono per uomini e donne. Per acquisire e mantenere l’onore maschile, gli uomini hanno bisogno di una reputazione di durezza, formidabilità e ritorsione aggressiva in risposta a insulti e minacce. Per mantenere l’onore femminile, le donne hanno bisogno di una reputazione di purezza sessuale, tramite comportamenti come indossare abiti modesti e mantenere la verginità prima del matrimonio. … L’obbligo di mostrare pudore sessuale impone alle donne limitazioni sociali e riproduttive, e il mancato rispetto dell’onore è visto come motivo legittimo di punizione, tra cui la violenza del partner, il suicidio forzato e l’omicidio d’onore.”[5]

Il nostro sistema normativo non prevede più il delitto d’onore come attenuante per le violenze perpetuate dall’uomo contro la donna (attenuante non contemplata nel caso di violenza della donna sull’uomo). Questo segna un avanzamento culturale con riferimento al vincolo del rapporto di coppia. Ma quanto di questo avanzamento è formale e quanto sostanziale? Possiamo ignorare il fatto che ancora oggi esistano manifestazioni di violenza nelle relazioni di coppia, prevalentemente ad opera dell’uomo a danno della donna? C’è ancora molto da capire e molto da fare, per modificare il nostro corso storico e poter finalmente affermare di aver bonificato il fronte occidentale da questi residuati di incertezze primordiali.

P.S. Questa prospettiva sulle diseguaglianze di genere incentrata sull’incertezza della paternità può essere considerata incerta, in quanto frutto di ipotesi non prive di alternative nella letteratura delle discipline umanistiche. Tuttavia, anche se apparentemente provocatoria, ci è sembrata fra le più “neutre” e sostanziata da ricerche etnografiche. Per questo abbiamo pensato di proporla come spunto di discussione, nel tentativo di affrontare il problema stimolando il pensiero critico e sottraendoci ai pregiudizi e alle contrapposizioni ideologiche che tuttora caratterizzano il dibattito pubblico.


[1]Fatherhood is a human social invention and patriarchy, the rule of the father, is a fundamental condition of history and of our ideas of power, authority, and of civilization itself”. Sebastian Kraemer, The origins of Fatherhood: An ancient family process, 1991.

[2]The sacred texts of five world religions (Buddhism, Christianity, Hinduism, Islam, and Judaism) use similar belief systems to set limits on sexual behavior. We propose that this similarity is a shared cultural solution to a biological problem: namely male uncertainty over the paternity of offspring. Furthermore, we propose the hypothesis that religious practices that more strongly regulate female sexuality should be more successful at promoting paternity certainty”. Strassmann et al, Religion as a means to assure paternity, 2012.

[3] “I was puzzled to find that the historical evidence pertaining to women made little sense, when judged by traditional criteria. After a while I began to see that I needed to focus more on the control of women’s sexuality and procreativity than on the usual economic questions, so I began to look for the causes and effects of such sexual control. As I did this, the pieces of the puzzle began to fall into place”. Trad.: “Sono rimasta sconcertata nel constatare che le evidenze storiche relative alle donne avevano poco senso, se valutate secondo criteri tradizionali. Col tempo ho cominciato a capire che dovevo concentrarmi più sul controllo della sessualità e della procreatività delle donne che sulle solite questioni economiche, così ho cominciato a cercare le cause e gli effetti di tale controllo sessuale. Nel farlo, i pezzi del puzzle cominciarono ad andare al loro posto”. Gerda Lerner, The creation of patriarchy, 1986, p. 8.

[4] Rapporto Svimez: https://lnx.svimez.info/svimez/il-lavoro-non-e-donna-in-italia-1-donna-su-4-non-lavora/https://lnx.svimez.info/svimez/donne-con-figli-piccoli-nel-mezzogiorno-lavora-solo-il-35/

[5]Anthropologists and psychologists have documented that the requirements for a good reputation differ for men and women. To acquire and maintain masculine honor, men need a reputation for toughness, formidability, and aggressive retaliation in response to insults and threats. To maintain feminine honor women need a reputation for sexual purity, via behaviors such as wearing modest clothes and maintaining virginity before marriage. … The requirement to show sexual modesty places social and reproductive constraints on women, and failure to maintain honor is seen as legitimate grounds for punishment, including intimate partner violence, forced suicide and honor killing” Tom R. Kupfer, Pelin Gul, Ideological Mate-guarding: Sexual Jealousy and Mating Strategy Predict Support for Female Honor, 2023.