Cinquant’anni fa veniva previsto, con ingenuo ottimismo, che il Sud Italia avrebbe colmato il divario economico e sociale con il Nord, ricco e opulento, nel 2020. Era un articolo del Corriere della Sera ad annunciarlo sulla base di un rapporto ministeriale allora redatto, tra gli altri, dall’economista di area democristiana Pasquale Saraceno. Il Sud ancora negli anni ’70 era cresciuto in maniera disordinata e disorientata e, nonostante gli investimenti cospicui programmati dall’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) tramite la Cassa del Mezzogiorno di cui lo stesso Saraceno fu uno dei fondatori, presentava ancora segni di profonda arretratezza economica e culturale[1].
A distanza di mezzo secolo la previsione risulta completamente disattesa e il Sud tuttora piange un grosso ritardo rispetto al Nord Italia, che è invece una delle aree più forte economicamente, più industrializzate, con più servizi e una radicata attitudine imprenditoriale, in sostanza una delle aree più ricche del vecchio continente.
Il divario tra Sud e Nord si era in parte attenuato fino alla metà degli anni ’70 del Novecento, tuttavia negli anni successivi si era invece riacutizzato. Negli anni post Covid19 si è ridotto nuovamente grazie soprattutto ai cospicui investimenti del PNRR, che hanno fatto del Sud (all’interno della vasta Area Mediterranea) uno dei luoghi al mondo con più alto tasso di crescita di PIL e attrattività di investimenti privati[2]. Però questa crescita si è concentrata in settori a basso valore aggiunto come le costruzioni e i servizi del comparto turismo[3].
Il gap con il Nord tuttavia non è stato ancora colmato: il PIL pro capite nel Meridione è poco più della metà di quello del Nord[4]. Una Nazione, due Paesi quindi: Nord da una parte, Sud dall’altra. Non solo una stucchevole retorica, ma una reale e concreta disamina che ci parla di una corsa a due velocità tra le due aree del paese, che prosegue ancora oggi inesorabile.
A livello politico, poi, la recente proposta legislativa sull’Autonomia Differenziata ripropone per l’ennesima volta la differenza culturale e amministrativa, non solo economica, tra regioni del Nord e del Sud. Tale proposta potrebbe esacerbare ulteriormente lo scontro ideologico e politico tra regionalisti e statalisti, ed evidenziare ancora di più il divario sociale, culturale e non solo economico, tra Sud e Nord, divisi anche da differenti tradizioni sedimentate nei secoli.
I numeri del divario sono impietosi se si guarda alla produzione industriale, alla diffusione delle infrastrutture e dei trasporti, alla sanità, all’istruzione, al lavoro e ai servizi disponibili quindi allo spopolamento. Il Sud arranca in tutti questi indicatori socio-economici. Differenze ulteriormente aggravate se si considerano le congiunture climatiche: nel Mezzogiorno vaste regioni sono a rischio desertificazione e le infrastrutture idriche sono inadeguate, secondo dati Istat al Sud la dispersione d’acqua, dovuta alla cattiva gestione, raggiunge picchi di oltre 60%[5].
Il settore industriale rimane uno dei principali elementi di debolezza economica del Sud: nonostante un’importante industria agroalimentare che rappresenta il 30% e l’industria farmaceutica che si attesta al 25%; complessivamente questo settore non solo non è cresciuto ma addirittura si è contratto dello 0,5% nel 2023 [6]. A parte qualche rara eccezione al Sud i distretti industriali non si sono sviluppati. Se analizziamo poi le dinamiche lavorative, circa 4 lavoratori su 10 nelle regioni meridionali hanno un’occupazione precaria. Addirittura quasi un quarto di essi sono precari da oltre 5 anni[7].
Al Sud le reti autostradali e dell’alta velocità ferroviaria sono scarsamente diffuse se non del tutto assenti in diverse regioni, come nelle due Isole maggiori. L’alta velocità, quella che viaggia a oltre 250 km orari, si ferma a Salerno. Un esempio concreto raffigura ancora una volta il gap tra le due aree: al Nord un lavoratore può fare il pendolare giornaliero entro il raggio di 150 chilometri, grazie all’offerta di servizio ferroviario di alta velocità e alla rete autostradale efficiente. Nel Mezzogiorno è una mera utopia, manca una rete ferroviaria capillare ed efficiente e la rete autostradale è ancora piuttosto tortuosa e disseminata di cantieri infiniti. Se un individuo al Sud trova lavoro in altra località distante dal luogo di residenza deve mettere in conto il trasferimento integrale; c’è quindi una scarsità di servizi pubblici disponibili per le industrie, per il lavoro e per le famiglie.
Focalizzando l’attenzione sulla demografia il quadro si aggrava. Il fenomeno storico dell’emigrazione meridionale è proseguito costantemente anche nel primo ventennio del nuovo millennio. l’Istat calcola che dal 2002 al 2021 oltre 2 milioni e mezzo di meridionali in età lavorativa hanno abbandonato la propria regione per trasferirsi: il 20% verso l’Estero e l’80% verso il Nord Italia. Buona parte degli emigrati hanno meno di 35 anni e ben 263mila sono laureati. Se restringiamo il campo all’ultimo decennio 2014-2023, sono 550mila i residenti persi dal Mezzogiorno tutti in uscita verso il Centro-Nord che attrae, tra questi, oltre 137mila giovani laureati nella classe di età 25-34 anni[8]. Il fenomeno sembra essersi stabilizzato nel corso degli ultimi 10 anni ma non perché si sia attutito il ritardo economico, bensì per la riduzione dei possibili emigranti del Sud e per la comparsa di un nuovo flusso di stranieri in grado di sostituirli come forza lavoro.
Insomma, un Sud ancora costantemente depauperato di risorse materiali, carente di infrastrutture e servizi e spogliato di capitale umano qualificato. In realtà sconta scarse, se non del tutto insignificanti, trasformazioni a livello economico-sociale e culturale: non ci sono stati cambiamenti significativi in questi ultimi 50 anni. Il familismo amorale (cfr. Banfield) è ancora molto diffuso, individui e famiglie orientano tempo e risorse al perseguimento di interessi unicamente familiari e non associativi e cooperativistici: condizioni sfavorevoli al rafforzamento del capitale sociale. C’è poi un problema di meritocrazia a livello professionale, un peccato atavico e certamente diffuso in tutto il Paese ma con un particolare rilievo nel Sud, dove non si sono fatti mai passi avanti concreti per valorizzare la cultura del merito. Addirittura sono emerse, in anni recenti, alcune voci discordanti che deprimono la meritocrazia, considerata come creatrice di disparità a livello sociale.
Non è solo questione di numeri e soldi (investimenti del PNRR), al Sud c’è una carenza di capitale sociale rispetto al Nord, nei servizi di istruzione, nel livello della sanità e nella giustizia[9]. I problemi della legalità sono ancora piuttosto marcati e hanno un impatto negativo sugli investimenti dei privati: in talune aree del Sud le organizzazioni criminose sono in grado di esercitare un rilevante controllo sulla società e la corruzione è largamente diffusa e praticata. La politica invece che essere propulsore di sviluppo sociale ed economico pare più impegnata nella redistribuzione delle risorse pubbliche su base clientelare, per mantenere la base elettorale, che va a scapito delle politiche di sviluppo.
Non tutto però è a tinte fosche, esistono realtà efficienti, piccole nicchie virtuose dove l’apparato funziona, dove c’è seria impresa privata e onesta amministrazione pubblica. In questo periodo storico si assiste a un grande interesse sulle potenzialità del Mezzogiorno. Molti studiosi e analisti hanno ipotizzato linee strategiche di sviluppo del Sud basandosi sui dati economici degli anni post Covid, in cui il Mezzogiorno ha registrato ottime performance di crescita tra il 2021 e il 2023, posizionandosi come terza regione più attrattiva tra i 22 paesi del Mediterraneo[10].
Occorre cercare di irrobustire e rendere più capillari questi risultati, ma come? Il progresso del Sud deve essere insieme politico, civile e culturale. In ambito economico occorre insistere nei settori per i quali il Meridione ha maggiore vocazione: sfruttare la posizione geografica per diventare un hub strategico dell’energia dell’intera area Euromediterranea; potenziare l’industria turistica con un miglioramento dell’offerta e l’attrazione di nuovi capitali sul territorio, promuovendo l’internazionalizzazione del settore; valorizzare l’economia del mare con il potenziamento del sistema portuale, della navigazione e della logistica, quindi della cantieristica navale[11].
Ma non possiamo dimenticare una componente fondamentale per qualsiasi strategia di sviluppo su cui il pubblico dovrebbe intervenire in maniera decisiva: i servizi per la popolazione e per le imprese. A tal proposito le incisive parole del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta: “Vanno privilegiati gli interventi infrastrutturali in grado di accrescere la capacità produttiva. Tra le esigenze più pressanti si segnalano quelle di contrastare la crisi idrica e di rafforzare la rete elettrica, essenziale per l’attività delle imprese e per sfruttare il vantaggio comparato nella produzione di energie rinnovabili. Vanno inoltre migliorati i collegamenti sia tra le città meridionali, sia tra queste e il resto del Paese, potenziando il sistema portuale e aeroportuale e le reti stradali e ferroviarie” [12].
[1] Corriere della Sera, articolo 13 settembre 1972, di Antonio Spinosa.
[2] Rapporto SVIMEZ 2024, il Sud Italia nel 2023 è cresciuto dell’1,6% rispetto alla media nazionale del 0,9%, e un aumento dell’occupazione del 2,6%, superando la media nazionale.
[3] Tra il 2021 e il 2022 il PIL è cresciuto del +3,4% nell’intero Mediterraneo Allargato. È una performance migliore di Cina (+3,0%) e Stati Uniti (+2,1%). Ottime performance anche in termini commerciali: nel 2022 l’export è aumentato del +18,3% nel Mediterraneo Allargato e del +19,7% nel Mediterraneo Core, cfr. Intesa San Paolo, report Forum Verso Sud: PNRR per il Sud Italia, 6 giugno 2024.
[4] “Eppur si muove: l’economia del Mezzogiorno dopo la crisi”, rapporto di Fabio Panetta, Governatore Banca d’Italia, 19 settembre 2024.
[5] Istat, dati marzo 2024.
[6] “Sud: poche fabbriche, ma può aprirsi una nuova stagione”, cfr. SVIMEZ dicembre 2023.
[7] Fonte Svimez, rapporto annuale 2023.
[8] Istat, migrazioni interne e internazionali della popolazione residente anni 2022-2023, Report 28 maggio 2024; “Il Nord-est continua a essere l’area del Paese più attrattiva, con un tasso migratorio medio annuo per gli anni 2022-2023 pari al +2,4 per mille. All’interno di tale area geografica spicca l’Emilia-Romagna che consegue un tasso migratorio interno netto del +3,6 per mille. Si registra il tasso migratorio interno medio annuo inferiore (+1,8 per mille) nel Nord-ovest, dove gioca un ruolo determinante l’attrattività esercitata dalla Lombardia (+2 per mille)”.
[9] Il Foglio, articolo 20 settembre 2017, articolo di Salvatore Rossi, ex direttore generale della Banca d’Italia e presidente di Telecom Italia.
[10] secondo il rapporto Mediterranean Sustainable Development Index MSDI, Il Sud Italia si posiziona al 7° posto per numero di imprese manifatturiere tra i 27 Paesi UE, con una crescita delle esportazioni del 35% rispetto al periodo pre-pandemico. Settori come aerospazio, automotive, agroalimentare e farmaceutico sono distintivi per le loro performance. Tuttavia, per consolidare questa competitività, è essenziale una politica industriale integrata che affronti i divari strutturali, promuova la ricerca e sviluppo, e favorisca la crescita dimensionale delle imprese; cfr. Intesa San Paolo, report “Forum Verso Sud: PNRR per il Sud Italia”, 6 giugno 2024.
[11] cfr. Intesa San Paolo, report “Forum Verso Sud: PNRR per il Sud Italia”, 6 giugno 2024.
[12] cfr. “Eppur si muove: l’economia del Mezzogiorno dopo la crisi”, rapporto di Fabio Panetta, Governatore Banca d’Italia, 19 settembre 2024.